DIRITTO TRIBUTARIO – Imposta comunale sugli immobili. Esenzione ICI per immobili di proprietà di Onlus adibiti a erogazione di servizi socio-sanitari.

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1. L’esenzione di cui alla lettera i) dell’art. 7, comma 1°, D.Lgs. n. 504/1992, come interpretato dall’art.7, comma 2-bis, D.L. n. 203/2005 conv. in legge n. 248/2005. Gli elementi costitutivi dell’esenzione: l’elemento soggettivo e quello oggettivo.

Ai sensi della lettera i) dell’art. 7, comma 1°, D.Lgs. n. 504/1992 spetta l’esenzione I.C.I. per gli immobili utilizzati da enti privati, diversi da società, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (cfr. art. 73 TUIR), ciò a condizione che i medesimi immobili siano destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali o sanitarie.

Con il comma 2-bis dell’art. 7 D.L. 30 settembre 2005, n. 203 conv. in legge 2 dicembre 2005, n. 248, come successivamente novellato dall’art. 39 D.L. n. 223/2006, conv. in legge n. 248/2006, è stato precisato che l’esenzione di cui alla lettera i) dell’art. 7, comma 1°, D.Lgs. n. 504/1992 «si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera che non abbiano esclusivamente natura commerciale».

In tale contesto normativo, l’esenzione I.C.I. è ammessa al ricorrere dei seguenti concorrenti presupposti:

– c.d. elemento soggettivo: il soggetto richiedente l’esenzione deve essere un ente privato che non abbia per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale;

– c.d. elemento oggettivo: attività assistenziale o sanitaria non deve avere natura esclusivamente commerciale.

2. (segue): in particolare, l’elemento oggettivo. Cosa deve intendersi per attività assistenziale di natura non esclusivamente commerciale.

In base al combinato disposto dell’art. 7, comma 1°, lettera i) D.Lgs. n. 504/1992 e art. 7, comma 2-bis, D.L. n. 203/2005 conv. in legge n. 248/2005, l’esenzione I.C.I. non presuppone invero che l’attività assistenziale sia effettuata senza utili. Ciò che rileva, infatti, è che l’ente privato non sia un’impresa e che gli eventuali profitti non siano distribuiti.

Convergono in tale senso la prassi del M.E.F. relativa all’esenzione ICI in esame e la giurisprudenza di legittimità in tema di reddito imponibile delle Onlus.

3. Circolare della Direzione Federalismo Fiscale del M.E.F. del 26 gennaio 2009 prot. n. 8003. Attività non esclusivamente commerciale è anche quella socio-sanitaria esercitata da Enti no profit.

La Direzione Federalismo Fiscale del M.E.F., nell’esaminare il comma 2-bis dell’art. 7 D.L. n. 203/2005 conv. in legge n. 248/2005, osserva che «un’attività o è commerciale, o non lo è, non essendo possibile individuare una terza categoria di attività. Pertanto, se non è possibile individuare attività qualificabili come “non esclusivamente di natura commerciale”, si può sostenere che quest’ultimo inciso debba essere riferito solamente alle specifiche modalità di esercizio delle attività in argomento, che consentano di escludere la commercialità allorquando siano assenti gli elementi tipici dell’economia di mercato (quali il lucro soggettivo e la libera concorrenza), ma siano presenti le finalità di solidarietà sociale sottese alla norma di esenzione. Infatti, la combinazione del requisito soggettivo e di quello oggettivo comporta che le attività svolte negli immobili ai quali deve essere riconosciuta l’esenzione dall’ICI non siano di fatto disponibili sul mercato o che siano svolte per rispondere a bisogni socialmente rilevanti che non sempre sono soddisfatti dalle strutture pubbliche e che sono estranee alla sfera di azione degli operatori privati commerciali. Ciò è particolarmente evidente per le attività svolte in regime concessorio o in convenzionamento e/o accreditamento con l’ente pubblico, in quanto si tratta di attività inserite in maniera completa ed esclusiva nel servizio pubblico gestito direttamente da un’istituzione pubblica. L’esenzione in esame, infatti, trae la sua giustificazione, da un lato nella “meritevolezza” dei soggetti e delle finalità perseguite, e, dall’altro, nella rilevanza sociale delle attività svolte».

Secondo il M.E.F., dunque, il requisito soggettivo va combinato con quello oggettivo, cosicché anche lo svolgimento da parte di Enti no profit di attività socio-sanitarie in regime convenzionato e/o accreditamento è idoneo a giustificare l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1°, lettera i) D.Lgs. n. 504/1992.

Nel caso delle Onlus tale conclusione vale a fortiori, tenuto conto della disciplina normativa che le riguarda, da cui si ricava che il nesso tra finalità solidaristiche e Ente no profit non viene meno nemmeno quando le prime vengano perseguite con organizzazione di tipo imprenditoriale.

4. La giurisprudenza di legittimità in tema di reddito imponibile di Onlus che esercitino attività socio-assistenziale a favore di soggetti che si trovino in condizioni di disagio verso corrispettivo di un prezzo e/o verso erogazione di contribuzioni pubbliche. In particolare, la nozione di svantaggio rilevante ai sensi della lettera a) del comma 2° art. 10 D.Lgs. n. 460/1997.

Va premesso che, ai sensi dell’art. 143 (già art. 108) TUIR, il reddito complessivo degli enti non commerciali è formato tra gli altri dal reddito di impresa. Non sono tuttavia considerate attività commerciali le prestazioni di servizi erogate in forma non imprenditoriale se rese in conformità alle finalità istituzionali dell’ente senza specifica organizzazione e se i corrispettivi pagati a favore dell’Ente no profit non eccedono i costi di diretta imputazione.

Con specifico riferimento alle Onlus è tuttavia previsto dall’art. 150 (già art. 111-ter) TUIR che «non costituisce attività commerciale lo svolgimento delle attività istituzionali nel perseguimento di esclusive finalità di solidarietà sociale».

Ai sensi della lettera a) del comma 2° dell’art. 10 D.Lgs. n. 460/1997, «si intende che vengono perseguite finalità di solidarietà sociale quando le cessioni di beni e le prestazioni di servizi relative alle attività statutarie nei settori dell’assistenza sanitaria … non sono rese nei confronti di soci, associati o partecipanti … ma dirette ad arrecare benefici a: a) persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari».

La nozione di “svantaggio”, rilevante ai sensi della citata disposizione sulle Onlus, «individua categorie di persone in condizioni oggettive di disagio per situazioni psico-fisiche particolarmente invalidanti ovvero per situazioni di devianza, degrado, grave precarietà economico-familiare, emarginazione sociale» (Cass., Sez. Trib., 15 febbraio 2013, n. 3789, la quale ricorda che «nella prassi amministrativa (Circolare del 26/06/1998 n. 168), condivisa e ripresa dalla dottrina tributarista, le situazioni di svantaggio rilevanti sono individuate, in via esemplificativa, riguardo a: disabili fisici e psichici affetti da malattie comportanti menomazioni non temporanee; tossicodipendenti; alcolisti; indigenti; anziani non autosufficienti in condizioni di disagio economico; minori abbandonati, orfani o in situazioni di disadattamento o devianza; profughi; immigrati non abbienti»).

5. (segue): il pagamento di corrispettivi per l’erogazione di prestazioni socio-sanitarie. Compatibilità con il perseguimento di finalità di solidarietà sociale.

5.1. Secondo la Corte di Cassazione, non rileva – allo scopo di qualificare le finalità di solidarietà sociale perseguite dalle Onlus – il pagamento di rette (ancorché cospicue) da parte dei beneficiari per il godimento dei servizi socio-assistenziali erogati dalla Onlus.

In base al chiaro dettato legislativo di cui al comma 2° dell’art. 10 D.Lgs. n. 460/1997, «si intende che vengono perseguite finalità di solidarietà sociale quando le cessioni di beni e le prestazioni di servizi siano dirette ad arrecare benefici a persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari» (Cass., SS.UU., 9 ottobre 2008, n. 24883; nello stesso senso v. altresì: Cass., Sez. Trib., 20 settembre 2013, n. 21562; Id. 19 maggio 2011, n. 11072). Quindi – proseguono le SS.UU. – «le attività possono essere considerate rientranti tra quelle aventi finalità di solidarietà sociale anche a prescindere dalla sussistenza di una situazione di svantaggio economico del beneficiario. Tale situazione di svantaggio è soltanto una tra quelle previste dal legislatore in via alternativa e la ricorrente non contesta che i destinatari delle prestazioni potessero versare in condizioni di svantaggio di altro tipo» (SS.UU. sent. n. 24833/2008 cit.).

5.2. Il fatto che le prestazioni vengano fornite dietro corrispettivo – osservano le citate Sezioni Unite – «non fa venir meno il fine solidaristico», sempre che vengano rispettate tutte le prescrizioni di cui all’art. 10 D.Lgs. n. 460/1997 e sempre che i destinatari versino in una delle indicata condizioni di svantaggio.

Infatti, «la solidarietà non si manifesta soltanto con il sostegno economico, in quanto ben può manifestarsi nei confronti di persone anziane che “per condizioni psicologiche, familiari, sociali o per particolari necessità assistenziali risultino impossibilitate a permanere nel nucleo familiare di origine”. Pertanto “non appare incompatibile con il fine solidaristico di una Onlus lo svolgimento di attività dietro pagamento”. Sempre che, occorre aggiungere, attraverso il pagamento non si realizzi, accanto all’intento solidaristico, anche un fine di lucro (stante il precetto che impone l’esclusività del fine solidaristico: art. 10 cit., comma 1, lett. b)» (SS.UU. sent. n. 24883/2008 cit.).

Più di recente, la Sezione Tributaria della Cassazione ha ribadito che «le attività possono essere considerate rientranti tra quelle aventi finalità di solidarietà sociale a prescindere dalla sussistenza di una situazione di svantaggio economico del beneficiario suscettibile di essere riequilibrata dalla gratuità della prestazione o dalla simbolicità delle rette. Invero una tale situazione di svantaggio è dalla norma prevista in via alternativa, e non di necessaria concorrenza, rispetto alle altre sopra riferite. Ed è decisivo notare che la ricorrente non contesta che, al di là del profilo economico, i destinatari delle prestazioni potessero versare in condizioni di svantaggio connesse all’età e alle condizioni psicofisiche o alle condizioni familiari» (Cass., Sez. Trib., 20 settembre 2013, n. 21563, nel caso esaminato dalla S.C. l’Agenzia delle Entrate aveva contestato ad una Onlus di aver indebitamente beneficiato del trattamento fiscale agevolato nonostante avesse percepito dagli anziani ospitati rette allineate agli ordinari valori di mercato, così da caratterizzarsi per la presenza di un fine commerciale, anziché del fine solidaristico proprio delle Onlus).

6. (segue): compatibilità tra finalità solidaristiche perseguite da Onlus e conseguimento di utili di gestione.

È stato osservato dalle Sezioni Unite che il divieto di perseguire finalità lucrative non significa divieto di conseguire utili: «come si evince dal D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 10, comma 1, lett. d) ed e), la realizzazione di utili non esclude il fine solidaristico dell’attività; occorre, però, che gli utili stessi vengano impiegati per la realizzazione di attività istituzionali o connesse (cit. D.Lgs. n. 460, art. 10, comma 1, lett. e)) o che, comunque, non vengano distribuiti (cit. D.Lgs. n. 460, art. 10, comma 1, lett. d))» (SS.UU. sent. n. 24883/2008 cit.).

Anche le Onlus debbono infatti perseguire l’obiettivo dell’economicità della gestione e il conseguimento di un utile. Tale obiettivo, fermi restando divieti e prescrizioni di cui all’art. 10 D.Lgs. n. 460/1997, non solo è compatibile con le finalità di solidarietà statutariamente perseguite, ma costituisce un ulteriore mezzo per il loro raggiungimento.

Con riferimento al regime tariffario delle prestazioni rese da enti privati no profit in regime di accreditamento ex art. 8-bis e ss. D.Lgs. n. 502/1992, la costante giurisprudenza amministrativa ha del resto osservato che la remunerazione delle prestazioni sanitarie erogate non va «certamente differenziata in funzione dell’assenza dello scopo di lucro e che l’ente, qualunque sia la sua finalità, deve pur sempre perseguire l’obiettivo dell’economicità della gestione ed il conseguimento di un utile. Il fatto che un soggetto non abbia finalità di lucro non esclude, infatti, la possibilità di conseguire un utile, da reinvestire o da destinare ad altri fini compatibili con gli scopi del soggetto di cui si tratta» (T.A.R. Calabria Catanzaro, Sez. I, 15 aprile 2010,  n. 475).

7. (segue): compatibilità tra finalità solidaristiche perseguite da Onlus e percepimento di contribuzioni pubbliche per erogazione di prestazioni socio-sanitarie in regime di convenzione o accreditamento. L’art. 143, comma 3°, lettera b) TUIR.

La lettera b) del comma 3° dell’art. 143 (già art. 108) TUIR precisa che «non concorrono in ogni caso alla formazione del reddito degli enti non commerciali di cui alla lettera c) del comma 1 dell’art. 73: … b) i contributi corrisposti da Amministrazioni pubbliche ai predetti enti per lo svolgimento convenzionato o in regime di accreditamento di cui all’articolo 8, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, come sostituito dall’articolo 9, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517, di attività aventi finalità sociali esercitate in conformità ai fini istituzionali degli enti stessi».

In base alla citata lettera b) dell’art. 143 TUIR va a fortiori escluso che lo svolgimento di attività socio-sanitarie in regime di accreditamento o convenzionamento concorra alla formazione del reddito imponibile.

In applicazione di tale disposto, proprio con riguardo a Onlus che svolgono attività socio-assistenziale in regime di convenzionamento, sempre le Sezioni Unite hanno osservato che i contributi pubblici «non concorrono a formare il reddito imponibile degli enti non commerciali in genere (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 143, comma 3, lett. b)), e quindi anche delle ONLUS (L. n. 460 del 1997, art. 26, che estende alle ONLUS la disciplina fiscale degli enti non commerciali)» (SS.UU., 23 aprile 2009, n. 9661).

8. Conclusioni.

Per conseguire il beneficio di cui cui all’art. 7, comma 1°, lettera i) D.Lgs. n. 504/1992, una Onlus non ha l’onere di dimostrare che le attività assistenziali prestate all’interno di un immobile non siano produttive di reddito di impresa, così come invece previsto dall’art. 143 (già art. 108) TUIR, il quale – come visto – per gli Enti non commerciali prevede che «non si considerano attività commerciali le prestazioni di servizi non rientranti nell’articolo 2195 del codice civile rese in conformità alle finalità istituzionali dell’ente senza specifica organizzazione e verso pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione».

Ciò in quanto l’art. 150 (già art. 111-ter) TUIR esclude espressamente che, nel caso di Onlus, l’erogazione di prestazioni sanitarie concorrano alla formazione del reddito imponibile.

In altri termini, l’art. 143 (già art. 108) TUIR non si applica alle Onlus per il caso in cui queste svolgano «attività istituzionali nel perseguimento di esclusive finalità di solidarietà sociale» (art. 150, già art. 111-ter, TUIR).

E, alla luce del formante normativo e giurisprudenziale che precede, va annoverata tra le attività istituzionali delle Onlus l’erogazione di prestazioni socio-sanitarie, in regime di accreditamento ex art. 8-bis D.Lgs. n. 502/1992, a favore di persone che versino in condizione di disagio per situazioni psico-fisiche particolarmente invalidanti e non solo per disagio economico. Ciò indipendentemente dal fatto che l’attività de qua sia prestata mediante un’organizzazione di tipo imprenditoriale e che dai corrispettivi dei privati o dai contributi pubblici consegua o meno un utile di gestione.

Tali attività, ai sensi dell’art. 150 TUIR, non concorrono infatti alla formazione del reddito imponibile, ove la Onlus che le eserciti osservi le prescrizioni di cui all’art. 10 D.Lgs. n. 460/1997 e, in particolare, il divieto di distribuzione di utili e di avanzi di gestione.

Né si pone alcuna antinomia tra l’art. 143 (già art. 108) TUIR e l’art. 150 (già art. 111-ter) TUIR. Ai sensi dell’art. 26 D.Lgs. n. 460/1997, «alle ONLUS si applicano, ove compatibili, le disposizioni relative agli enti non commerciali e, in particolare, le norme di cui agli articoli 2 e 9 del presente decreto». Da qui la prevalenza dell’art. 150 (già art. 111-ter) TUIR sull’art. 143 (già art. 108) TUIR.