1. Giustizia amministrativa – ricorso giurisdizionale – decorrenza termine per ricorrere – atti amministrativi – necessità ex lege della notificazione individuale – dies a quo dalla data di conoscenza dell’atto dal notificatario – atti amministrativi a pubblicazione necessaria (atti pianificatori ad es. quelli recanti approvazione P.R.G. e/o loro varianti) – per i soggetti non espressamente nominati – dies a quo dal giorno di scadenza del periodo legale di pubblicazione;
2. Urbanistica – strumenti urbanistici generali – impositivi di vincoli espropriativi – necessità notifica individuale – sussiste – variante generale di P.R.G. riferita a insediamenti per accoglienza turistica – disciplina a carattere generale – inesistenza di destinatari identificati sottoposti a vincolo espropriativo – necessità di notifica individuale – insussistenza – ricorso giurisdizionale – termine per ricorrere – dies a quo per impugnare previsioni di P.R.G. – data di pubblicazione sul B.U.R.T.;
3. Giustizia amministrativa – successione nel tempo di atti pianificatori a contenuto generale – applicabilità del principio di trasferibilità del gravame sulla disposizione meramente reiterativa – inapplicabilità al processo amministrativo – rinnovazione delle valutazioni discrezionali della P.A. – necessità di autonoma impugnazione del atto sopravvenuto;
4. Giustizia amministrativa – annullamento di atto presupposto – illegittimità derivata dell’atto conseguente meramente esecutivo o confermativo – caducazione in via conseguenziale (effetto caducante) – sussistenza di rapporto di presupposizione – necessità – inesistenza – necessità di autonomo gravame dell’atto conseguente;
5. Giustizia amministrativa – ricorso giurisdizionale – azione di annullamento – atti impugnati che abbiano esaurito i loro effetti nel corso del giudizio – sopravvenuta carenza di interesse all’accoglimento dell’azione di annullamento per impossibilità di conseguire un risultato utile – permanenza dell’interesse al ricorso a fini risarcitori – conversione dell’azione di annullamento in azione di accertamento – principio della domanda – necessità istanza di parte – sussistenza;
6. Urbanistica – P.R.G. – destinazione urbanistica turistico-ricettiva – mutamento di destinazione d’uso – norme tecniche d’attuazione – disposizione che àncora la trasformazione di strutture ricettive al criterio del numero di camere esistenti in un determinato anno – irragionevolezza della previsione – omessa valutazione economicità gestionale e convenienza imprenditoriale della destinazione alberghiera – irrilevanza del criterio del numero delle camere;
7. Urbanistica – P.R.G. – destinazione urbanistica turistico-ricettiva – mutamento di destinazione d’uso – norme tecniche d’attuazione – disposizione che subordina la trasformazione all’assunzione attraverso apposita convenzione dell’obbligo di corrispondere oneri di urbanizzazione primaria, secondaria e costo di costruzione, nonché contributo per realizzazione di opere pubbliche individuate dall’A.C. – inesistenza di norme di fonte primaria legittimanti imposizioni di contributi ulteriori rispetto agli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione – illegittimità del contributo per opere di interesse pubblico;
8. Urbanistica – P.R.G. – destinazione urbanistica turistico-ricettiva – mutamento di destinazione d’uso – norme tecniche d’attuazione – disposizione che impone piano urbanistico attuativo ove la trasformazione delle strutture alberghiere produca un numero di unità immobiliari superiore ad una determinata cifra – in presenza di zone urbanistiche completamente urbanizzate e dotate di adeguate infrastrutture – inutilità di piani attuativi.
Il normale termine decadenziale per ricorrere contro gli atti amministrativi soggetti a pubblicazione necessaria, decorre per i soggetti non espressamente nominati, dal giorno in cui sia scaduto il periodo della pubblicazione medesima, non essendo indispensabile la notificazione individuale o la piena conoscenza.
2. Sul dies a quo da cui decorre il termine per impugnare strumenti urbanistici generali a seconda che dettino o meno disposizioni a contenuto espropriativo.
Sono sicuramente soggetti a pubblicazione necessaria gli atti pianificatori, recanti l’approvazione di piani regolatori generali o loro varianti (a contenuto generale o di ampie zone e comparti territoriali …), i quali debbono essere contestati in giudizio nel termine decadenziale decorrente dalla data di pubblicazione, non essendo richiesta la notificazione agli interessati né il decorso dell’ulteriore termine di efficacia; fanno eccezione a tale regola gli strumenti urbanistici aventi ad ad oggetto un bene immobile specifico sul quale viene imposto un vincolo espropriativo, in tal caso è necessario che l’atto sia notificato all’interessato ovvero che si dia la prova della conoscenza piena di esso.
3. Sulla necessità di impugnare strumenti urbanistici che sostituiscono, nelle more del giudizio, quelli fatti oggetto di gravame.
Nel caso di successione nel tempo di strumenti urbanistici modificativi di quelli esistenti, i primi debbono ritenersi sostitutivi dei secondi; di talché, è onere del ricorrente, che abbia impugnato gli strumenti urbanistici sostituiti, impugnare quelli sostitutivi, non operando nel processo amministrativo il c.d. “principio di trasferibilità del gravame sulla disposizione meramente reiterativa”, anche perché, se pure si potesse concordare sulla natura non modificativa del nuovo testo, questo sarebbe comunque frutto di una rinnovata scelta dell’Amministrazione: scelta che necessiterebbe di specifica impugnazione per essere travolta.
4. Sull’effetto caducante che produce l’annullamento di atti presupposti su atti successivi.
Il processo amministrativo è tuttora incentrato sull’azione di annullamento, pertanto la caducazione dei provvedimenti emanati successivamente ad atti presupposti, ritualmente impugnati, può avvenire in via conseguenziale solo nel caso in cui sussista tra due atti un rapporto di presupposizione in virtù del quale l’invalidità del primo ha effetto caducante sul secondo, per cui l’annullamento dell’uno travolge automaticamente anche l’altro: ma ciò si verifica solo nel caso in cui l’atto successivo sia meramente esecutivo o confermativo del precedente e non espressivo di una nuova valutazione dell’autorità emanante; in caso contrario l’annullamento dell’atto presupposto non si riflette sulla legittimità dell’atto successivo.
5. Sull’interesse ad una pronuncia di accertamento dell’illegittimità di atti che, nelle more del giudizio, abbiano esaurito i loro effetti.
5.1. L’art. 34 comma 3 c.p.a. – il quale recita: “Quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori” – introduce un principio di carattere generale volto da un lato ad inibire l’annullamento di atti che abbiano ormai esaurito i loro effetti nel corso del giudizio e, dall’altro, a tutelare, in presenza dei necessari presupposti, l’interesse all’accertamento; in questa ipotesi l’azione costitutiva si depotenzia di quel “quid pluris” – la modificazione di una situazione giuridica – che la caratterizza rispetto al contenuto di accertamento proprio di ogni azione per ridursi a mero accertamento, per il quale il presupposto dell’interesse è costituito dall’interesse risarcitorio.
5.2. Nelle ipotesi in cui venga meno l’interesse all’annullamento dell’atto impugnato, la persistenza alla pronuncia di merito non può essere valutata ex officio dal G.A., presupponendo una specifica istanza in tal senso da parte del ricorrente o comunque la rappresentazione dell’esistenza di un suo interesse risarcitorio, poiché anche nel processo amministrativo trova applicazione il principio della domanda.
6. Sulle previsioni di P.R.G. limitative di mutamenti di destinazione d’uso di edifici adibiti a finalità turistico-ricettive.
6.1. È illegittima la disposizione delle N.T.A. del P.R.G., secondo cui il cambio di destinazione d’uso è consentito, nei riguardi di strutture turistico-ricettive di tipo alberghiero, ubicate in una determinata area del territorio comunale, esclusivamente se le strutture ad una determinata epoca avevano una determinata quantità di camere. Tale previsione è irragionevole, in quanto prescinde totalmente dalla valutazione dell’economicità gestionale e della convenienza imprenditoriale della destinazione alberghiera, essendo ancorata ad un criterio (quello del numero delle camere) non significativo sotto tale profilo e che può al più costituire uno degli elementi di cui tener conto al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per consentire il cambio di destinazione d’uso di un albergo, ma non può certo risultare l’unico e decisivo parametro a cui subordinare tale possibilità, non configurandosi come indice probante della redditività o meno dell’esercizio. Depongono in tal senso: i) le norme di legge (non più vigenti) statali e regionali che, nel disciplinare il vincolo di destinazione alberghiera, ne consentivano comunque la rimozione subordinatamente alla “comprovata non convenienza economico-produttiva della struttura ricettiva” (così si esprimeva l’art. 8 comma 5 della legge quadro per il turismo 17 maggio 1983 n. 217); ii) la circostanza che l’imposizione di limiti rigorosi alla possibilità di modificare la destinazione d’uso di immobili utilizzati per attività imprenditoriali senza tenere in alcun conto i profili di convenienza gestionale che, sotto l’aspetto economico-produttivo, giustificano quelle attività risulta incompatibile con il principio della libertà dell’iniziativa economica privata costituzionalmente garantito dall’art. 41 Cost.; iii) la considerazione che, in concreto, l’antieconomicità della gestione di un albergo comporta presto o tardi la cessazione dell’attività imprenditoriale e, ove non adeguatamente valutata ai fini di un eventuale cambio della destinazione d’uso, rischia di “congelare” la situazione in un quadro improduttivo e in via di progressivo degrado, con evidenti ricadute negative sia per il privato, sia per l’interesse pubblico.
6.2. È illegittima la disposizione delle N.T.A. del P.R.G., secondo cui il cambio di destinazione d’uso è subordinato, nei riguardi di strutture turistico-ricettive di tipo alberghiero, ubicate in una determinata area del territorio comunale, all’assunzione (attraverso apposita convenzione) dell’obbligo di corrispondere, oltre agli oneri di urbanizzazione primaria, secondaria e costo di costruzione, un ulteriore contributo “da destinare alla realizzazione di opere pubbliche individuate dall’Amministrazione comunale e finalizzate al reperimento o alla riqualificazione urbana dell’assetto insediativo”. L’onere di contribuire alla realizzazione di opere pubbliche non è previsto da fonti normative primarie, il che costituisce tuttavia un presupposto indispensabile, in base al principio sancito dall’art. 23 Cost.
6.3. È illegittima la disposizione delle N.T.A. del P.R.G., che preveda in via generale l’obbligo di presentare un piano attuativo, nel caso il venga richiesto il cambio di destinazione d’uso per ricavare da strutture turistico-ricettive di tipo alberghiero unità immobiliari in numero superiore ad una predeterminata quantità. Infatti, per costante giurisprudenza, la necessità di un piano attuativo, quale presupposto per il rilascio di un permesso edilizio, deve trovare ragion d’essere nel caso in cui lo strumento urbanistico risulti utile per completare l’urbanizzazione di una zona o per riequilibrarne il disegno urbanistico; mentre la necessaria e preventiva approvazione di tale strumento urbanistico va esclusa in presenza di una pressoché completa edificazione della zona e di un adeguato grado di urbanizzazione primaria e secondaria.
Massima a cura dell’Avv. Ettore Nesi
email: avvocato.nesi@studiolegalepn.it
(data inserimento: 31 maggio 2012)
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
– Regione Toscana e Provincia di Lucca, non costituite in giudizio;
A) con l’atto introduttivo del giudizio:
della “variante di assestamento del regolamento urbanistico finalizzata alla realizzazione della 1^ casa, la razionalizzazione del patrimonio alberghiero, all’adeguamento della normativa ed all’attuazione previsioni contenute nel vigente strumento di governo del territorio” del Comune di Camaiore, approvata con la deliberazione consiliare n. 61 dell’1 agosto 2008 ed in particolare dell’art. 28 di essa, unitamente alla relativa cartografia ed agli allegati;
B) con motivi aggiunti depositati il 5/3/2012:
della “Variante art. 28 delle N.T.A. del vigente Regolamento Urbanistico per alcune rettifiche alla disciplina delle strutture alberghiere” del Comune di Camaiore, approvata con la deliberazione consiliare n. 24 del 6 aprile 2011, pubblicata sul BURT n. 23 dell’8 giugno 2011, unitamente ai suoi allegati.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Camaiore;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 aprile 2012 il dott. Carlo Testori e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
1) Con l’atto introduttivo del giudizio la sig.ra G[…] C[…], proprietaria in Lido di Camaiore di un immobile destinato ad uso alberghiero con la denominazione di “Hotel […]”, dotato di 18 camere, ha impugnato la “variante di assestamento del regolamento urbanistico” approvata dal Consiglio comunale di Camaiore con la deliberazione n. 61 dell’1/8/2008, con particolare riguardo alle previsioni contenute nel riformulato art. 28 delle NTA specificamente riferite agli alberghi. In particolare la ricorrente, facendo presente la non convenienza economica dell’attività alberghiera esercitata nel predetto immobile, ha censurato la disciplina relativa al cambio di destinazione d’uso degli alberghi ubicati nella fascia compresa tra viale Pistelli e viale Colombo (consentito esclusivamente a strutture dotate di non più di 11 camere), nonché altre norme relative alla previsione di un contributo ulteriore rispetto agli oneri di legge e dell’obbligo di piano attuativo se il cambio di destinazione d’uso comporta la realizzazione di più di cinque unità immobiliari. A sostegno del ricorso la sig.ra C[…] ha formulato censure di violazione di legge e di eccesso di potere sotto diversi profili.
Il Comune di Camaiore si è costituito in giudizio, depositando una memoria formale, solo in data 19/12/2011, due giorni prima dell’udienza fissata per la discussione della causa, nel corso della quale il difensore dell’Amministrazione ha formulato eccezioni e controdeduzioni.
2) Con ordinanza n. 106 del 17 gennaio 2012 questo Tribunale ha disposto istruttoria a carico del Comune resistente al fine di acquisire tutta la documentazione necessaria per avere un quadro completo della situazione oggetto di causa; l’Amministrazione ha ottemperato con il deposito del 16/2/2012.
Con atto depositato il 5/3/2012 la ricorrente ha esteso l’impugnazione alla “Variante art. 28 delle N.T.A. del vigente Regolamento Urbanistico per alcune rettifiche alla disciplina delle strutture alberghiere”, approvata dal C.C. di Camaiore con la deliberazione n. 24 del 6/4/2011, riproponendo le stesse censure formulate contro la precedente variante.
A sua volta il Comune di Camaiore ha eccepito l’inammissibilità dei motivi aggiunti perché tardivamente proposti e l’improcedibilità del ricorso originario; ed ha controdedotto nel merito.
La difesa della ricorrente ha replicato con una memoria depositata in vista dell’udienza del 18 aprile 2012, in cui la causa è passata in decisione.
1) La prima questione da affrontare è quella della tempestività o meno dei motivi aggiunti notificati al Comune di Camaiore in data 16-20/2/2012, con cui la parte ricorrente ha impugnato la variante approvata il 6/4/2011 e pubblicata sul BURT dell’8/6/2011, che ha modificato l’art. 28 delle NTA del Regolamento urbanistico del predetto Comune, dettando il testo attualmente vigente.
La difesa della sig.ra C[…], per prima, ha esaminato la questione negli stessi motivi aggiunti sostenendo, in sintesi:
– che per la ricorrente il termine decadenziale di impugnazione della variante decorreva dalla sua conoscenza, acquisita nella pubblica udienza del 21/12/2011 e non dalla pubblicazione sul BURT, posto che la disciplina dell’art. 28 NTA non opera una zonizzazione, ma introduce un vincolo alberghiero (con effetti sostanzialmente espropriativi) nei confronti delle strutture esistenti sul lungomare di Lido di Camaiore, rendendo così necessaria la notifica individuale dell’atto a ciascuno dei proprietari interessati; in mancanza di tale notifica il termine non può che decorrere dalla conoscenza effettiva dell’atto in questione;
– che è comunque invocabile il beneficio dell’errore scusabile ex art. 37 del codice del processo amministrativo, di cui ricorrono i presupposti;
– che, in ogni caso, l’impugnazione della variante del 2011 è frutto di mero tuziorismo, tenuto conto di quanto affermato nell’ordinanza di questo TAR n. 106/2012 nonché della circostanza che, a fronte di una variante sostanzialmente confermativa delle precedenti disposizioni lesive per la ricorrente, il giudizio resta immodificato nel suo oggetto, pur essendo sopravvenuto un nuovo strumento urbanistico.
2) Il Consiglio di Stato, sez. V, ha recentemente affermato nella sentenza 28 aprile 2011 n. 2534:
“Secondo il consolidato indirizzo di questo Consiglio…… in tutti i casi in cui non sia necessaria la notificazione individuale del provvedimento e sia al contempo prescritta da una norma di legge o di regolamento la pubblicazione dell’atto in un apposito albo, il termine per proporre l’impugnazione decorre dal giorno in cui sia scaduto il periodo della pubblicazione.
Viene confermato quell’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale il normale termine decadenziale per ricorrere contro gli atti amministrativi soggetti a pubblicazione necessaria, decorre per i soggetti non espressamente nominati, dalla pubblicazione medesima, non essendo indispensabile la notificazione individuale o la piena conoscenza.
Sotto tale angolazione sono sicuramente atti pianificatori, soggetti a pubblicazione necessaria, quelli recanti l’approvazione di piani regolatori generali o loro varianti (a contenuto generale o di ampie zone e comparti territoriali …), i quali, secondo la costante giurisprudenza, devono essere contestati in giudizio nel termine decadenziale decorrente dalla data di pubblicazione, non essendo richiesta la notificazione agli interessati né il decorso dell’ulteriore termine di efficacia”.
Il principio in questione è derogato solo in taluni casi: in particolare, “qualora lo strumento urbanistico (di solito una variante) abbia ad oggetto un bene immobile specifico sul quale viene imposto un vincolo espropriativo, è necessario che l’atto sia notificato all’interessato ovvero che si dia la prova della conoscenza piena (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 21 maggio 2010, n. 3233) “.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa della ricorrente, nel caso in esame non sussistevano, ad avviso del Collegio, i presupposti per far luogo alla notifica individuale. La variante del 2011, infatti, apporta alcune modifiche all’art. 28 delle NTA del Regolamento urbanistico di Camaiore, che è norma avente portata generale, in quanto riferita alla categoria degli “Insediamenti per il tempo libero e l’accoglienza turistica”, comprendente “alberghi, discoteche, cinema, stabilimenti balneari, attività ricettive e ricreative, per il tempo libero e l’esercizio fisico”; le disposizioni ivi contenute sono dirette a destinatari non identificati e in particolare, per la parte che qui interessa, riguardano tutti gli alberghi di Camaiore (90 circa), ancorché distinti in relazione alla loro ubicazione nel territorio. E il carattere di disciplina generale dell’art. 28 emerge anche dalla lettura della relazione alla variante, che prende in considerazione, per quanto riguarda le strutture alberghiere, l’andamento del settore nel corso del tempo, in rapporto alle presenze turistiche e con riguardo alla capacità ricettiva dell’intera Versilia. Non appare dunque convincente la tesi sostenuta dalla parte ricorrente secondo cui l’art. 28 avrebbe introdotto un vincolo puntuale, di natura sostanzialmente espropriativa, che rendeva necessaria la notifica individuale dell’atto; se così fosse lo stesso discorso dovrebbe valere per tutte le categorie di beni e strutture rientranti nell’ambito degli “Insediamenti per il tempo libero e l’accoglienza turistica”, come più sopra individuati; mentre invece la giurisprudenza precedentemente citata limita la deroga al principio generale della decorrenza del termine per l’impugnazione di uno strumento urbanistico dalla data di sua pubblicazione al solo caso in cui oggetto della prescrizione impugnata sia “un bene immobile specifico sul quale viene imposto un vincolo espropriativo”.
Non vale a modificare le conclusioni raggiunte il richiamo alla sentenza della sez. III di questo TAR 15 luglio 2011 n. 1211, posto che in quel caso l’oggetto del contendere era un immobile “nominativamente individuato in apposita scheda del piano strutturale” come “invariante strutturale”, non suscettibile di mutamento di destinazione “quale bene di particolare valore architettonico, funzionale e tipologico, al dichiarato fine di evitare alterazioni architettoniche e tipologiche”, ai sensi dell’art. 4 della L.R. n. 1/2005; mentre la presente controversia riguarda un bene identificabile in quanto ricompreso in una più ampia categoria, a cui le prescrizioni qui impugnate si riferiscono indistintamente.
In relazione a quanto sopra l’impugnazione della variante pubblicata sul BURT n. 23 dell’8 giugno 2011 risulta tardivamente proposta rispetto al termine decadenziale decorrente dalla data della pubblicazione.
3) Non sussistono neppure gli estremi per riconoscere l’errore scusabile ex art. 37 c.p.a. Nel caso in esame non si ravvisano né “una situazione normativa obiettivamente confusa”, né “uno stato di incertezza per l’obiettiva difficoltà di interpretazione di una norma”, né un “comportamento non lineare dell’Amministrazione, idoneo a generare convincimenti non esatti”; circostanze che vengono affermate nell’atto di motivi aggiunti (pag. 24), ma che non appaiono al Collegio effettivamente apprezzabili.
4) Quanto poi alla necessità o meno di impugnare la variante del 2011 si premette che con l’ordinanza n. 106/2012 questo TAR si è limitato a disporre un’istruttoria finalizzata ad acquisire tutta la documentazione necessaria per avere un quadro completo della situazione oggetto di causa; per cui è arbitrario pretendere di ricavare dal testo di quel provvedimento qualche indicazione circa la soluzione del problema in esame. Per il resto si osserva:
– il nuovo testo dell’art. 28 NTA è largamente modificativo di quello precedente, introdotto nel 2008 e la circostanza che non siano stati superati i profili oggetto di contestazione nell’atto introduttivo del presente giudizio non è sufficiente a caratterizzare il nuovo testo come meramente confermativo del precedente;
– da ciò consegue che la disciplina introdotta con la variante del 2011 si è sostituita a quella del 2008 e dunque, in quanto lesiva per l’interessata, andava necessariamente impugnata; non può indurre a diversa conclusione il richiamo al “principio di trasferibilità del gravame sulla disposizione meramente reiterativa”, anche perché, se pure si potesse concordare sulla natura non modificativa del nuovo testo, questo sarebbe comunque frutto di una rinnovata scelta dell’Amministrazione: scelta che necessiterebbe di specifica impugnazione per essere travolta;
– la prassi della Corte costituzionale non può valere per superare l’obbligo in questione, posto che il processo amministrativo è tuttora incentrato sull’azione di annullamento e che la caducazione dei provvedimenti può avvenire in via conseguenziale solo nel caso in cui sussista tra due atti un rapporto di presupposizione in virtù del quale l’invalidità del primo ha effetto caducante sul secondo, per cui l’annullamento dell’uno travolge automaticamente anche l’altro: ma ciò si verifica solo nel caso in cui l’atto successivo sia meramente esecutivo o confermativo del precedente e non espressivo di una nuova valutazione dell’autorità emanante; circostanze che, come precedentemente rilevato, non ricorrono nel caso in esame.
5) In conclusione, risulta tardiva l’impugnazione della variante del 2011 proposta con i motivi aggiunti depositati il 5/3/2012, che vanno dunque dichiarati irricevibili.
6) Da ciò consegue che l’annullamento della variante del 2008, impugnata (limitatamente all’art. 28 NTA) con l’atto introduttivo del giudizio, non risulta più utile per la ricorrente perché non potrebbe comunque incidere sulla vigenza e sull’efficacia della disciplina ex art. 28 come modificata nel 2011.
Nelle memorie depositate il 16 e il 28/3/2012 la difesa della sig.ra C[…] insiste nell’affermare la permanenza dell’interesse della predetta alla decisione sul ricorso originario, con riferimento al profilo conformativo e a quello risarcitorio.
Si sostiene, in primo luogo, che l’accertamento dell’illegittimità delle scelte operate dall’Amministrazione nel 2008 attraverso l’imposizione di un vincolo alberghiero imporrebbe al Comune di Camaiore di riesaminare anche la disciplina urbanistica dettata dalla variante del 2011 alla luce delle statuizioni di questo Tribunale, con evidente vantaggio per la ricorrente. La tesi non convince; se la variante del 2011, impugnata tardivamente, risulta ormai intangibile, un’eventuale pronuncia favorevole sulla variante del 2008 non comporterebbe a carico dell’Amministrazione resistente nessun obbligo di revisione della pianificazione urbanistica successiva suscettibile di tutela in via di ottemperanza o attraverso qualche forma sanzionatoria in caso di inosservanza; dunque l’interesse fatto valere in proposito è privo di apprezzabile consistenza.
Quanto all’interesse risarcitorio, si deve fare riferimento alla disposizione di cui all’art. 34 comma 3 c.p.a., che recita: “Quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”.
Sull’interpretazione di tale norma la giurisprudenza è divisa tra un orientamento restrittivo e uno estensivo.
Il primo è ben rappresentato nella sentenza del TAR Milano, sez. IV, 5 ottobre 2011 n. 2352 in cui si legge: “la norma non può essere interpretata nel senso che, in seguito ad una semplice segnalazione della parte o, addirittura d’ufficio, lo stesso giudice debba verificare la sussistenza di un interesse ai fini risarcitori.
A ciò si oppongono due ordini di considerazioni: in primo luogo, se si considera l’id quod plerumque accidit, non vi è che un ristrettissimo numero di controversie in cui non si potrebbe, in astratto, individuare un interesse di natura risarcitoria. In particolare, con la valorizzazione della categoria del danno non patrimoniale, anche provvedimenti amministrativi non eseguiti, perché sospesi, potrebbero aver provocato dei danni risarcibili. Di conseguenza, si eliminerebbero quasi del tutto le pronunce di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, espressamente contemplate dall’art. 35, comma 1, lett. c., cod. proc. amm.
Ma l’argomento più solido a supporto della tesi sostenuta in questa sede, è rappresentato dalla positivizzazione del principio dell’autonomia dell’azione risarcitoria (art. 30 cod. proc. amm. e, in giurisprudenza, Consiglio di Stato, Ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3).
Essendovi la possibilità di proporre in via autonoma l’azione risarcitoria, indipendentemente dall’azione di annullamento, nessuna lesione al diritto del destinatario del provvedimento asseritamente illegittimo deriverebbe da una mancata decisione del merito del ricorso che fosse divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse. Anzi, tale mancata pronuncia eviterebbe di limitare la cognizione del giudice aventi al quale sarebbe proposta l’azione risarcitoria pura in ordine ad alcuni degli elementi necessari per individuare il danno risarcibile – ad esempio, l’illegittimità del comportamento amministrativo – e consentirebbe un giudizio pieno in relazione al complesso dei presupposti richiesti per ottenere un risarcimento. Del resto, non sempre all’accertata “non illegittimità” di un provvedimento segue il mancato risarcimento del danno (cfr., per esempio, T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 29 settembre 2011, n. 2319), come pure nella proposizione successiva dell’azione risarcitoria il ricorrente non sembra tenuto a reiterare puramente e semplicemente le identiche censure proposte nel preventivo giudizio impugnatorio.
Infine, procedere in ogni caso alla definizione del merito della controversia potrebbe essere inutile, dato che il ricorrente potrebbe non proporre successivamente alcuna domanda risarcitoria.
Pertanto, l’art. 34, comma 3, cod. proc. amm. deve applicarsi in via restrittiva e soltanto allorquando la domanda risarcitoria sia stata proposta nello stesso giudizio (e ciò pare del tutto evidente), oppure quando la parte ricorrente dimostri che ha già incardinato un separato giudizio di risarcimento o che è in procinto di farlo”.
Al secondo (e opposto) orientamento si ispira invece la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 12 maggio 2011 n. 2817 in cui si afferma:
– che l’art. 34 comma 3 c.p.a. “introduce un principio di carattere generale volto da un lato ad inibire l’annullamento di atti che abbiano ormai esaurito i loro effetti nel corso del giudizio e, dall’altro, a tutelare, in presenza dei necessari presupposti, l’interesse all’accertamento.
In questa ipotesi l’azione costitutiva si depotenzia di quel “quid pluris” – la modificazione di una situazione giuridica – che la caratterizza rispetto al contenuto di accertamento proprio di ogni azione per ridursi a mero accertamento, per il quale il presupposto dell’interesse è costituito dall’interesse risarcitorio.
I termini del quale interesse sono segnati dal quinto comma dell’art. 30 c.p.a., secondo cui, quando sia stata proposta azione di annullamento, la domanda risarcitoria può essere formulata anche sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza: il che rende ragione del fatto che l’enunciato normativo si riferisce all’interesse risarcitorio e non ad una domanda risarcitoria già proposta”;
– che alla domanda “se l’applicazione della norma presupponga una specifica istanza dell’interessato” va data risposta negativa sulla base delle seguenti considerazioni: “In tal senso milita, anzitutto, l’argomento testuale. Infatti, la norma dispone che in presenza dei presupposti dalla stessa predefiniti “ il giudice accerta l’illegittimità dell’atto ”, impiegando una locuzione vincolante.
In secondo luogo, l’accertamento dell’ illegittimità dell’atto impugnato è contenuto nel petitum di annullamento come un presupposto necessario. Siccome il più contiene il meno, il giudice limita la sua pronuncia ad un contenuto di accertamento in seguito ad una valutazione dell’interesse a ricorrere, quindi da compiere d’ufficio: in quanto manca l’interesse all’annullamento ma sussiste l’interesse all’accertamento ai fini risarcitori”;
– che la sussistenza di un interesse risarcitorio nel caso concreto “è desumibile dal tipo di controversia e dagli atti di causa”.
Nell’evidenziato contrasto giurisprudenziale il Collegio ritiene più convincente l’interpretazione estensiva espressa nella sentenza per ultimo citata, con le seguenti precisazioni:
– suscita perplessità la scelta di estendere l’applicazione della norma in esame anche al caso in cui manchi una specifica istanza dell’interessato o comunque la rappresentazione dell’esistenza di un suo interesse risarcitorio, in quanto sembra configurare un intervento d’ufficio del giudice in contrasto con il principio della domanda e correlato, peraltro, ad un potere di verifica (per quanto generica) della sussistenza di un interesse risarcitorio che sembra invece doversi affidare in toto al giudice che sarà successivamente ed eventualmente investito della domanda risarcitoria;
– la questione non è peraltro attuale nel presente giudizio, posto che la ricorrente ha espressamente chiesto una pronuncia nel merito facendo valere un suo interesse risarcitorio.
Il Collegio deve dunque pronunciarsi sulla fondatezza delle censure formulate nell’atto introduttivo del giudizio contro la variante urbanistica approvata dal C.C. di Camaiore con la deliberazione n. 61/2008.
7) In sintesi la ricorrente, proprietaria di un immobile destinato ad uso alberghiero dotato di 18 camere, censura:
a) la previsione contenuta nell’art. 28 delle NTA (come riformulato per effetto della variante impugnata) secondo cui il cambio di destinazione d’uso è consentito, per gli alberghi ubicati nella fascia compresa tra viale Pistelli e viale Colombo, “esclusivamente se le strutture alla data del 1 giugno 2006 avevano un numero minore o uguale a 11 camere”;
b) la previsione, anch’essa contenuta nel citato art. 28, secondo cui la trasformazione è subordinata all’assunzione (attraverso apposita convenzione) dell’obbligo di corrispondere, oltre agli oneri di urbanizzazione primaria, secondaria e costo di costruzione, un ulteriore contributo “da destinare alla realizzazione di opere pubbliche individuate dall’Amministrazione comunale e finalizzate al reperimento o alla riqualificazione urbana dell’assetto insediativo”;
c) un’ulteriore disposizione dell’art. 28 che impone la presentazione di un piano attuativo nel caso in cui il cambio di destinazione d’uso produca un numero di unità immobiliari superiore a 7.
8) Le censure formulate contro la previsione di cui al punto precedente sub a) sono fondate; come sostenuto dalla ricorrente tale previsione è irragionevole, in quanto prescinde totalmente dalla valutazione dell’economicità gestionale e della convenienza imprenditoriale della destinazione alberghiera, essendo ancorata ad un criterio (quello del numero delle camere) non significativo sotto tale profilo. Depongono in tal senso:
– le norme di legge (non più vigenti) statali e regionali che, nel disciplinare il vincolo di destinazione alberghiera, ne consentivano comunque la rimozione subordinatamente alla “comprovata non convenienza economico-produttiva della struttura ricettiva” (così si esprimeva l’art. 8 comma 5 della legge quadro per il turismo 17 maggio 1983 n. 217);
– la circostanza che l’imposizione di limiti rigorosi alla possibilità di modificare la destinazione d’uso di immobili utilizzati per attività imprenditoriali senza tenere in alcun conto i profili di convenienza gestionale che, sotto l’aspetto economico-produttivo, giustificano quelle attività risulta incompatibile con il principio della libertà dell’iniziativa economica privata costituzionalmente garantito dall’art. 41 Cost.;
– la considerazione che, in concreto, l’antieconomicità della gestione di un albergo comporta presto o tardi la cessazione dell’attività imprenditoriale e, ove non adeguatamente valutata ai fini di un eventuale cambio della destinazione d’uso, rischia di “congelare” la situazione in un quadro improduttivo e in via di progressivo degrado, con evidenti ricadute negative sia per il privato, sia per l’interesse pubblico.
In sostanza – fermo restando che la prova dell’asserita non convenienza economico-produttiva di una struttura alberghiera grava sul proprietario della stessa, in rapporto ai parametri che l’Amministrazione comunale abbia prefissato in proposito; e che non è questa la sede per valutare se effettivamente, nel caso in esame, la struttura di proprietà della ricorrente ricada nell’ipotesi di cui sopra – si deve concludere che il mero riferimento al numero delle camere può costituire, al più, uno degli elementi di cui tener conto al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per consentire il cambio di destinazione d’uso di un albergo, ma non può certo risultare l’unico e decisivo parametro a cui subordinare tale possibilità, non configurandosi come indice probante della redditività o meno dell’esercizio.
9) Sono fondate anche le censure riguardanti le ulteriori disposizioni dell’art. 28 NTA impugnate con il ricorso originario; in particolare:
– è illegittima l’imposizione, in caso di cambio di destinazione d’uso di un albergo, di un contributo “da destinare alla realizzazione di opere pubbliche individuate dall’Amministrazione comunale e finalizzate al reperimento o alla riqualificazione urbana dell’assetto insediativo”, ulteriore rispetto a quello commisurato agli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione; mentre infatti quest’ultimo trova il suo necessario presupposto nelle previsioni di cui all’art. 16 comma 1 del T.U. n. 380/2001 ed agli artt. 119-121 L.R.T. n. 1/2005, nessun fondamento normativo (indispensabile, in base al principio sancito dall’art. 23 Cost.) si rinviene a legittimare l’imposizione del contributo ulteriore previsto dal Comune di Camaiore;
– è illegittima anche la previsione generalizzata dell’obbligo di presentare un piano attuativo nel caso in cui il cambio di destinazione d’uso produca un numero di unità immobiliari superiore a 7; la giurisprudenza ha chiarito che la necessità di un piano attuativo, quale presupposto per il rilascio di un permesso edilizio, trova ragion d’essere nel caso in cui lo strumento urbanistico risulti utile per completare l’urbanizzazione di una zona o per riequilibrarne il disegno urbanistico; mentre va esclusa in presenza di una pressoché completa edificazione della zona e di un adeguato grado di urbanizzazione primaria e secondaria; nel caso in esame il piano attuativo è richiesto a prescindere dalla circostanza che almeno buona parte degli alberghi di Camaiore sono ubicati in zone completamente urbanizzate e dotate di adeguate infrastrutture (e questa è la situazione che riguarda, in particolare, la struttura di proprietà della ricorrente): sotto tale profilo l’obbligo di cui si controverte risulta illegittimo perché generalizzato e dunque contrastante con il citato orientamento giurisprudenziale.
10) In conclusione:
– vanno dichiarati irricevibili i motivi aggiunti depositati il 5/3/2012, con cui è stata impugnata la variante approvata dal C.C. di Camaiore con la deliberazione n. 24 del 6 aprile 2011;
– va dichiarato improcedibile il ricorso originario, nella parte in cui chiede l’annullamento della variante approvata dal C.C. di Camaiore con la deliberazione n. 61 dell’1 agosto 2008;
– ai sensi dell’art. 34 comma 3 del codice del processo amministrativo va riconosciuta l’illegittimità delle disposizioni di cui all’art. 28 delle NTA del R.U. del Comune di Camaiore, come riformulato dalla variante approvata con deliberazione n. 61/2008, impugnata con l’atto introduttivo del giudizio.
Tenuto conto della reciproca soccombenza, le spese del giudizio vanno integralmente compensate tra le parti costituite.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima), definitivamente pronunciando:
a) dichiara irricevibili i motivi aggiunti depositati il 5/3/2012, con cui è stata impugnata la variante approvata dal C.C. di Camaiore con la deliberazione n. 24 del 6 aprile 2011;
b) dichiara improcedibile il ricorso originario, nella parte in cui chiede l’annullamento della variante approvata dal C.C. di Camaiore con la deliberazione n. 61 dell’1 agosto 2008;
c) accerta, ai sensi dell’art. 34 comma 3 del codice del processo amministrativo, l’illegittimità delle disposizioni di cui all’art. 28 delle NTA del R.U. del Comune di Camaiore, come riformulato dalla variante approvata con deliberazione n. 61/2008, impugnata con l’atto introduttivo del giudizio;
d) compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nelle camere di consiglio dei giorni 18 aprile e 16 maggio 2012 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Buonvino, Presidente
Carlo Testori, Consigliere, Estensore
Riccardo Giani, Consigliere
Il 30/05/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)